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PAUL McCARTNEY: RECORDING SESSIONS (1969 -2011)
UN VIAGGIO ALLA SCOPERTA DELLE REGISTRAZIONI DI PAUL McCARTNEY
di LUCA PERASI.
LUCA PERASI (Milano, 1969) è un professionista attivo da anni nel settore dell'organizzazione aziendale. Conta diverse collaborazioni editoriali nei campi della musica e del turismo. Dal 1994 al 1997 ha pubblicato la fanzine "Paper McCartney". PAUL McCARTNEY: RECORDING SESSIONS (1969-2011) è il suo primo libro. |
Luca Perasi |
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Band on the Run (1973, album Band on the Run) |
Una pietra miliare della carriera di McCartney: “Band on the Run” venne arrangiata legando con maestria tre sezioni distinte.
La prima era un’introduzione dall’atmosfera tesa e nervosa. Poi una sezione rock: aggressiva, dalla ritmica irregolare e sincopata.
Il maestoso crescendo dell’orchestra (arrangiato da Tony Visconti), che porta ai solari accordi della chitarra acustica della terza parte e che prefigura la sensazione liberatoria della fuga, creò però parecchi problemi in fase di registrazione.
Tony Visconti: “Quello che Paul mi chiese fu di orchestrare il piccolo interludio che entra ad unire la parte lenta e quella veloce del pezzo; poiché non c’è alcuna relazione di tempi tra le due, ci volle parecchio per guidare nel modo giusto i cinquanta orchestrali per le cinque battute di durata del pezzo”. I tre minuti che seguono sono un concentrato di astuzie tecniche che fanno di “Band on the Run” un classico del pop anni Settanta. Il pezzo fu il secondo singolo tratto dall’album Band on the Run che nell'aprile 1974 fu al n.1 delle classifiche in America.
La prestazione di Paul alla batteria fu elogiata da Keith Moon, il batterista degli Who: “Per me fu motivo di grande orgoglio”, dirà in seguito McCartney.
(tratto dal libro Paul McCartney: Recording Sessions 1969-2011 di Luca Perasi, 2013)
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Live and Let Die (1973, singolo) |
Quando i produttori del nuovo film di James Bond incaricarono Paul di scrivere la colonna sonora per “Live and Let Die”, Paul fiutò subito l’affare in termini commerciali e di popolarità.
Dopo l’incarico, Paul lesse il libro di Fleming il sabato, scrisse la canzone l’indomani e la incise in studio la settimana seguente. “Live and Let Die”, segnò anche il ritorno ad una collaborazione con George Martin in veste di produttore.
Come aveva fatto in “Penny Lane”, McCartney cantò a Martin le note del tema principale e gli suggerì la strumentazione che avrebbe desiderato impiegare, lasciando a lui il compito di lavorare sulle chiavi dei fiati e degli archi.
La canzone fu registrata dal vivo in studio. Denny Seiwell: “Impiegammo non più di tre o quattro ore in tutto. Fu Ray Cooper ad aggiungere le percussioni. Prima suonò i timpani e poi un richiamo per papera nella sezione reggae…davvero divertente!”
E’ una delle canzoni epocali di McCartney. L’apertura del brano, con un'intrigante sequenza di accordi di piano ne fa un classico senza tempo. Assieme all’esplosivo tema centrale che va dritto al cuore delle avventure di Bond, nella sezione mediana c’è spazio anche per una divagazione reggae, un divertissement che stempera la drammatica e imperiosa produzione. Un vero e proprio pezzo di bravura, in cui McCartney sciorinò una grande performance vocale.
Finito il pezzo, Martin lo consegnò ai produttori e dovette fare grandi sforzi per convincerli di lasciare a McCartney l’esecuzione vocale: Paul aveva preteso di essere sia autore che interprete della propria canzone. Commercialmente e a livello di critica, “Live and Let Die”, fu un successo di proporzioni vastissime: subito al n.2 della classifica in America e al n.9 nel Regno Unito, conquistò un Grammy come miglior arrangiamento del 1973. Infine, ottenne la nomination all’Oscar come miglior colonna sonora.
Negli anni seguenti, “Live and Let Die” è divenuto uno dei momenti clou degli spettacoli di Paul, arricchito con una strabiliante scenografia con fuochi d’artificio, luci stroboscopiche e ogni altra diavoleria da palcoscenico.
(tratto dal libro Paul McCartney: Recording Sessions 1969-2011 di Luca Perasi, 2013) |
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My Love (1973, album Red Rose Speedway) |
Scritta semplicemente “per Linda”, “My Love” fu incisa in una memorabile seduta dal vivo negli studi di Abbey Road, con l'orchestra supervisionata da Richard Hewson.
Hewson: “Paul mi mandò un demo del pezzo e ci trovammo in studio ad incidere dal vivo, perché McCartney voleva che il brano avesse un certo feeling. In ‘My Love’ impiegai un’orchestra di jazzisti… E se ne uscirono con quel lungo accordo iniziale. Ma la seduta durò tre ore… Tutto fu inciso live, anche la parte vocale. Ci vollero ben 20 takes! Ogni volta l’assolo di chitarra era diverso… Alla fine implorammo Paul ‘Non possiamo suonare meglio di così!’”
Durante la registrazione Paul suonò il piano elettrico, Denny Laine il basso, Seiwell la batteria e Henry McCullough sfoderò quello che è ricordato probabilmente come il suo miglior assolo.
Questa “ballata melodrammatica dello stesso stile di ‘The Long and Winding Road’", realizzata con grande raffinatezza tecnica, ebbe subito un grandissimo successo. Per quattro settimane al n.1 in America (e n.9 in UK) e con oltre due milioni di copie vendute, divenne un evergreen del repertorio di McCartney, ottenendo negli anni seguenti diverse incisioni da parte di prestigiosi artisti del panorama musicale.
(tratto dal libro Paul McCartney: Recording Sessions 1969-2011 di Luca Perasi, 2013)
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Maybe I'm Amazed (1970, album McCartney) |
La storiografia del dopo-Beatles non ha mai attribuito grossa importanza al disco d'esordio di Paul, considerato, per la sua vena a tratti evanescente, più un capriccio che un vero e proprio sforzo musicale. Eppure, McCartney è un pezzo imperdibile della sua discografia e molto della sua notorietà e del suo apprezzamento si deve proprio a “Maybe I'm Amazed”.
I critici elevarono subito “Maybe I'm Amazed” a rango di "classico". Le ragioni sono presto spiegate: “Maybe I'm Amazed” mette in mostra il McCartney più autentico, dal punto di vista musicale ed umano. E’ un McCartney a briglia sciolta, che fonde le sue anime - melodica e rock - nel brano più notevole della sua carriera solista.
Paul compose questo pezzo "al piano, a Londra, probabilmente a cavallo tra il 1968 e il 1969 col secondo verso aggiunto più tardi."
In studio ad Abbey Road, “Maybe I'm Amazed” venne incisa con grande energia. In particolare, spiccano la brillante esecuzione pianistica e un ringhioso assolo di chitarra elettrica.
L'introduzione di piano apre la porta ad un brano che Paul eseguì con una prestazione vocale poderosa, potente, rabbiosa, carica di ruggiti, spaziando con naturalezza in una gamma di toni amplissima.
La sincerità ed il vigore di questa canzone, rappresentazione dello stupore di un uomo davanti al dono dell'amore e del suo bisogno di un appiglio in un momento di difficoltà suonano davvero toccanti. Lennon ammirò certo la canzone, facendolo capire alla sua maniera: in un’intervista del 1972 assieme a Yoko, in cui parlava delle ragioni dello scioglimento dei Beatles, ne cantò un verso.
(tratto dal libro Paul McCartney: Recording Sessions 1969-2011 di Luca Perasi, 2013) |
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